DIRITTO D'AUTORE E DIRITTO ALL'IMMAGINE

Martedì 26 Giugno 2018

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Fotografia, giornalismo e dati personali

Il tema è stato affrontato in un recente convegno a Mestre (organizzato dall’Ordine dei Giornalisti del Veneto) anche con l’intervento di un rappresentante del garante della privacy.

Queste note (che si svolgono in 5 articoli) sono il riassunto dell’intervento del sottoscritto.

Questioni preliminari

Come è noto a tutti, la questione della “tutela dei dati personali” (da non confondere con la “privacy” – rectius: riservatezza, in quanto concetto assolutamente differente ed inerente ad aree dei diritti della personalità limitrofe a questa) è stata sconvolta dall’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/26 ( in abbreviazione G.R.P.D. ) che, in Italia, ha sostituito il D.lgs. 196/2003. Inoltre vi è stata norma di attuazione mediante l’emanazione del D. lgs. 101/2018.

Poiché il Regolamento URE è direttamente applicabile in Italia, senza necessità di una normativa specifica ( il precedente sistema si basava su una Direttiva e su una specifica normativa, che poi era differente in tutti gli stati europei ), il legislatore italiano ha scelto solo di “sistemare” la vecchia normativa con un’operazione di restyling che si annuncia foriera di problemi nell’interpretazione sistematica.

Scompaiono tutte le autorizzazioni generali e le verifiche preliminari, scompare il “consenso” (quanto meno in alcune fattispecie) e compare il principio dell’accountability per cui spetta al titolare del trattamento di individuare ed applicare le misure tecniche migliori ed idonee per il raggiungimento del fine, la tutela dei dati personali.

Per il giornalismo, il vecchio D. lgs. Aveva una particolarità in quanto vi era espresso riferimento al trattamento dei dati personali da parte del giornalista che doveva avvenire nel rispetto delle regole deontologiche il cui rispetto costituisce condizione essenziale per la liceità e la correttezza del trattamento dei dati personali.

Solo che l’articolo contenente il principio risulta abrogato con necessità di un nuovo provvedimento che ristabilisse il codice deontologico.

Di qui la delibera 29.11.2018 del Garante per la protezione dei dati personali che reitera le “regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica pubblicate, ai sensi dell’articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 10.8.2018 n. 101”.

Delibera che è entrata in vigore il 4.1.2019, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Il testo, in 13 articoli, è assolutamente identico al Codice di Deontologia precedente, salvo qualche precisazione solo formale.

E così i giornalisti rianno il loro strumento principale per la propria attività.

Solo un’osservazione sui limiti soggettivi di applicazione. L’art. 13 riafferma un principio importante:

“”Le presenti norme ( quelle del Codice deontologico, N.d.R. ) si applicano ai giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti e a chiunque altro, anche occasionalmente, eserciti attività pubblicistica”.

 

La domanda che occorre farsi è, quindi, quando un’attività generica da parte di qualcuno, rientri nella tutela dell’art. 13.

La fotografia è proprio un caso specifico che ben si adatta: posta la possibilità di ognuno di noi di essere “citizen journalist” grazie ai sempre presenti smartphone nelle mani di chiunque ( e non solo per le foto ma anche per i video, addirittura in diretta ), si pone l’interrogativo del corretto utilizzo di immagini in relazione ai principi del codice deontologico.

Un esempio: l’art. 8 tutela la dignità delle persone e dice Salva l’essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine.”

Se, per caso, ci si trovi coinvolti in grave fatto di cronaca con sangue e morti, e si ha il coraggio di scattare qualche fotografia, il primo istinto è di diffonderla su Facebook, su Twitter o Instagram, se non di fare una diretta su Periscope.

Se le fotografie rimanessero all’interno del proprio smartphone e non diffuse a terzi, nulla quaestio. Ma la diffusione in rete, realizza quella “attività pubblicistica” che la norma richiede quale limite alla diffusione?

Se si considera che la Cassazione ha più volte ribadito come “”in assenza di una definizione legislativa di giornalismo o di informazione on-line, rimane valida, qualunque sia il mezzo di comunicazione usato, la definizione tradizionale di attività giornalistica intesa come prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione attraverso gli organi d’informazione (siano essi declinati quanto a vettore in carta stampata, TV, radio, internet).”” e come , sempre per la Cassazione (ultima la n,. 4873/2018) la diffamazione su Facebook si configura come un reato ma non è una diffamazione a mezzo stampa poiché il social network non è un organo di informazione. Secondo i giudici , pur ammettendo che Facebook è un “media” capace di portare e le notizie, calunnie o diffamazioni, non può essere equiparato alla stampa non essendo un organo di stampa.

Nota bene come le Sezioni Unite avevano descritto il concetto di testate giornalistiche online specificando che tale operazione ermeneutica non può riguardare in blocco tutti i nuovi media, informatici e telematici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, mailing list, e social) ma deve rimanere circoscritto a quei casi che, per i profili strutturale e finalistico, sono riconducibili al concetto di stampa: caratterizzata quest’ultima, in sostanza, dalla “professionalità” di chi scrivendo diffama”.

Qui, la Cassazione, prende una bella cantonata in quanto confonde il media con l’attività: già McLuhan diceva “il medium è il messaggio”. Penso che quando vi sia la “funzione” informativa (basta una foto ed una didascalia collegata ad una notizia di rilevante interesse pubblico o sociale) vi sia l’attrazione nella funzione pubblicistica e, pertanto, nel limiti dell’art. 13.

Avv. Massimo Stefanutti

Riproduzione riservata

 

Foto rubate/foto pagate

Il “furto” di una fotografia è oramai pratica comune, sia esso commesso con dolo o per colpa. Tutti coloro che hanno un sito, un account su un social o che altro dovrebbero prendere le minime misure a tutela delle immagini inserite. Non solo gli avvertimenti nella policy e l’evidenza della “credit line” ma soprattutto l’inserimento dei metadati nascosti (ma visibili ai terzi) e un’evidente marcatura della foto a mezzo di “watermark” digitali.

Basta inserire (lo si può fare facilmente con un qualunque programma di gestione delle fotografie) il proprio nome (o marchio) e il famoso simbolo  nella foto: il risultato sarà immediato e sicuro.

Anche perché eliminare una credit line o un marchio digitale o un meta dato (inseriti ai sensi dell’art. 102-quater e quinques L. 633/1941) da una fotografia, a fini di lucro, è un reato penale punito dall’art. 171-ter, lett. G, con la reclusione da sei mesi a tre anni e fino a 15493 € di multa.

E non credo che qualche soggetto (soprattutto giornalista, editore o che altro) voglia rischiare una condanna penale oltre che una severa sanzione disciplinare dal proprio Ordine professionale, solo per una foto che avrebbe potuto ottenere con qualche centinaio di euro.

Se poi volete vendere la vostra foto, potrete (ma non è necessario) togliere il marchio digitale in sovraimpressione.

Nel momento in cui la foto fosse carpita da terzi, il fotografo avrà l’accortezza di inviare cospicua fattura al colpevole, addirittura esente Iva in quanto risarcimento danni ex art. 15 DPR 633/1972,

Manca il dovuto pagamento? Il bravo avvocato sarà cosa fare e il risultato sarà assicurato.

Avv. Massimo Stefanutti

Diritto della fotografia e della proprietà intellettuale

 

La pubblicazione delle foto segnaletiche (e quelle dei terroristi, o presunti tali)

Più volte il Garante per la Privacy è intervenuto per affermare l’illiceità della pubblicazione di foto segnaletiche riguardanti persone, anche nominativamente indicate, sottoposte a misure restrittive della libertà personale, in relazione ad una indagine in corso a Roma, immagini poste con evidenza a disposizione di organi di stampa da operatori di polizia.

La ragione di tale posizione è il richiamo alla normativa vigente ed esattamente:

-  L´art. 8 del codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell´esercizio dell´attività giornalistica (provvedimento del Garante 29 luglio 1998, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 179 del 3 agosto 1998), il quale, al comma 2, dispone che "Salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell´interessato";

- la L. 22 aprile 1941, n. 633, la quale, all´art. 97, dispone che: "Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell´immagine è giustificata (…) da necessità di giustizia o di polizia (…) o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l´esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all´onore, alla reputazione od anche al decoro nella persona ritrattata";

Inoltre, vi è anche una circolare del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell´interno, (circolare N. 123/A/183.B.320 del 26 febbraio 1999), che richiamava anche l´attenzione sulla necessità che, anche nell´ipotesi di evidente ed indiscutibile "necessità di giustizia o di polizia" alla diffusione di immagini, "il diritto alla riservatezza ed alla tutela della dignità personale va sempre tenuto nella massima considerazione";

Allo stato, l’esigenza di preservare la riservatezza e la dignità personale dell’individuo è preminente alla conoscenza da parte del pubblico, delle sembianze delle persone ritratte.

Però, vi sono dei distinguo importanti: in questi tempi di terrorismo internazionale, spesso e volentieri vediamo foto (spesso con la caratteristiche della foto segnaletica ma anche semplici foto da documenti personali o frame di filmati) nelle quali sono riprese e poi pubblicate le sembianze di “terroristi” o presunti tali.

In queste situazioni, quale equilibrio tra la dignità del singolo (rectius: la verità dell’attribuzione del fatto) e il diritto di cronaca, mediato dalle esigenze di giustizia e polizia?

Ben diversa è la situazione negli Stati Uniti nel quale le foto segnaletiche sono liberamente distribuite dalla polizia o dalla magistratura (sono chiamate Mugshots) e spesso sono inserite in siti a pagamento: recentemente molte leggi di singoli stati americani hanno cominciato a vietare questi siti e ad imporre la cancellazione delle foto.

Altra eccezione, sono le foto dei personaggi famosi, incappati nelle maglie della Giustizia americana (per tutte https://www.dailybest.it/society/50-foto-segnaletiche-di-vip-arrestati/) e qui  c’è anche Bill Gates!!

 

LA PROBABILE (MA NON CERTA) DIRETTIVA EUROPEA IN MATERIA DI DIRITTO D’AUTORE DIGITALE

Nel trascorso settembre, il Parlamento Europeo ha approvato, con moltissimi emendamenti,  una proposta di Direttiva sul diritto di autore nel mercato unico digitale, in procedura legislativa ordinaria ed in prima lettura.

La discussione avanti al Parlamento Europeo era stata preceduta da violentissime discussioni e prese di posizione relative, soprattutto, ad una pretesa censura della libertà in rete; in particolare sotto attacco erano le norme che impediranno ( ma sempre che il percorso legislativo vada a buon fine ) ai grandi agglomeratori di notizie di sfruttare ( cioè richiamare o ripubblicare ) i contenuti editoriali dei giornali on-line.

La soluzione prospettata era il pagamento di un compenso per questa messa a disposizione del pubblico delle notizie.

Dopo l’approvazione, ci siamo presi l’ingrato compito di leggere tutti gli altre 250 emendamenti (e così i nuovi articoli come proposti dal Parlamento Europeo ), alla ricerca di nuove norme che potessero riguardare  la fotografia legata al giornalismo.

Prima di tutto si deve spazzar via una leggenda metropolitana: e cioè che queste norme siano legge, immediatamente applicabili in Europa ed in Italia.

L’iter avanti al Parlamento Europeo è ancora lungo e tortuoso: dopo la proposta della Commissione competente al Parlamento – che ha ampiamente emendato il testo – i principi espressi ora devono tornare alla Commissione. Addirittura il Presidente del Parlamento, vista l’entità degli emendamenti e le discussioni sollevate, ha rinviato tutto il testo alla commissione competente per l’avvio di negoziati interistituzionali:  in poche parole, si riparte (quasi) da capo con l’intenzione di trovare un accordo interno alla Commissione che tenga presente tutti i punti contestati.

Entro quattro mesi la Commissione dovrà rimettere il testo al Parlamento. Ma non è finita in quanto, qualora il Parlamento approvasse la Direttiva, resta una Direttiva: cioè èa direttiva obbliga gli stati membri all’adozione dei principi espressi e il legislatore nazionale lo farà con apposita legge statale. Si differenzia dal regolamento perché quest'ultimo si applica direttamente agli stati membri mentre la direttiva deve essere prima adottata e lascia spazio alle fonte normative di ogni stato.

Anche qui, in poche parole, qualora fosse adottata, ci vuole una legge dello Stato Italiano per tradurre

in regole i principi posti dalla Direttiva e chissà come questi principi saranno adattati al caso italiano.

Ma, per la nostra materia, ci sono due punti interessanti:

a)     a - l’emendamento 79 (proposta di un nuovo articolo 13ter) che dice:

 

 

Utilizzo di contenuti protetti da parte di servizi della società dell'informazione che forniscono una referenziazione automatica delle immagini

 

 

Gli Stati membri provvedono a che i fornitori di servizi della società dell'informazione che riproducono o fanno riferimento in modo automatico a quantità rilevanti di opere visive protette dal diritto d'autore e le mettono a disposizione del pubblico a fini di indicizzazione e referenziazione concludano accordi di licenza giusti ed equilibrati con i titolari dei diritti che lo richiedano, allo scopo di garantirne l'equa remunerazione. Tale remunerazione può essere gestita dall'organismo di gestione collettiva dei titolari dei diritti in questione.

Se passa questo principio, Google Immagini smetterà di esser tale e di proporre, con una veloce ricerca, immagini ( opere visive ) tratte dal web.

La questione non è nuova e già le grandi banche dati fotografiche avevano avuto degli accorgimenti per evitare che le loro opere fotografiche fossero indicizzate.

In futuro, Google smetterebbe di indicizzare chi non pattuisce un accordo di licenza, grande o piccolo fornitore che fosse. Però il principio si potrebbe anche rovesciare: non sarebbe obbligatorio un accordo di licenza oneroso, potrebbe esser anche gratuito.

Il fotografo che volesse continuare a farsi indicizzare le proprie foto da Google Immagini (e la rete è spesso la miglior vetrina) potrebbe sottoscrivere un accordo gratuito: e non è detto che la pubblicazione delle foto su Google Immagini sia sinonimo di “furto”. E’ sufficiente che il fotografo adotti cautele informatiche, quali i marchi digitali sulle immagini.

b)      b - il secondo punto è sbalorditivo per la sua genericità: emendamento n. 76 (proposta di un nuovo articolo 12bis).

Protezione degli organizzatori di eventi sportivi

 

Gli Stati membri riconoscono agli organizzatori di eventi sportivi i diritti di cui all'articolo 2 e all'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2001/29/CE e all'articolo 7 della direttiva 2006/115 CE.

 

 

I diritti citati sono quelli di riproduzione, comunicazione al pubblico e fissazione su supporto

 

/CE.

       

Da una prima lettura, il principio dovrebbe riguardare i grandi eventi sportivi: le partite di calcio, in primo luogo, con un diritto assoluto dell’organizzatore nell’autorizzare qualunque tipo di ripresa, sia fotografica che video durante la gara (oltre che di consentire la diffusione delle riprese della gara medesima). E ciò come conseguenze dell’attività di lobbing dei grandi gruppi sportivi.

I problemi sono molteplici: qual è l’ampiezza del concetto di “evento sportivo”? Si applicherà dal Giro d’Italia alla partita di minibasket dei ragazzini? La norma riguarderà solo le riprese professionali, a fini commerciali o anche le riprese dei privati, magari senza fine di lucro e con finalità familiari? I giornali non potranno più mandare i loro reporter a coprire l’evento se non con accreditamento e previo pagamento delle fotografie scattate o solo utilizzate? E il giornale dovrà pagare salate sanzioni per la pubblicazione delle immagini non autorizzate? E se la manifestazione è sulla pubblica strada? E i diritti di immagine dei singoli atleti? E il diritto di cronaca?

Ho paura che, se questo perimento non sarà ben delimitato, non potremmo più vedere una foto come quella di Bartali che possa la borraccia a Coppi (o viceversa, non si è mai appurata la verità).

Avv. Massimo Stefanutti

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